COO.BRA
Coordinamento Bracciantile saluzzese
(NON) GOVERNARE ATTRAVERSO “CAMPI STAGIONALI”: PROVVISORIETA’ E DIFFERENZA
Categories: [Campagne e Campi]

In occasione del (consueto) annuncio della prossima chiusura dei “campi stagionali” in cui sono alloggiati braccianti e persone in attesa di lavoro nel saluzzese e nel saviglianese, riportiamo alcuni estratti da “La governamentalità dello spazio dei campi di rifugiati palestinesi e dei quartieri informali ad Amman: apporti teorici e limiti”, di Lucas Oesch, che ben si adattano a comprendere in particolare due aspetti della logica di governo attraverso i campi, sempre più istituzionalizzata in tutte le campagne e le città italiane: la produzione di una differenza – spaziale e immediatamente politica – e l’instaurazione di una “provvisorietà perpetua”.

Logica di governo che mira quindi ad inscrivere sui corpi una differenza che si riproduca nel tempo – le cui conseguenze sono lampanti  in italia nel caso delle “politiche dei campi” rivolte a gruppi etichettati come “nomadi” –  e che però non tiene conto del potenziale creativo delle soggettività che all’interno dei campi si compongono.

I campi mirano prima di tutto a instaurare e a mantenere una differenza, al livello della gestione dei loro spazi, rispetto al resto del territorio. Una delle dimensioni principali di questa “differenza” risiede nel mantenimento di un “provvisorio che dura”. (…) I campi [sono] formazioni spaziali stabilite inizialmente allo scopo di rispondere a un’urgenza o a un dilemma di governo, e che si sono evolute nel tempo fino a diventare tecnologie di gestione del “quotidiano”.

Federico Rahola sottolinea che i campi, in quanto forme spaziali, «rivestono un carattere governamentale poiché costituiscono luoghi in cui il potere è prodotto». Ma qual è precisamente il potere che vi è prodotto?

Michel Agier propone di parlare dell’inaugurazione di un governo e di una razionalità “umanitaria”. Egli nota che «i campi sono oggi l’esempio più compiuto di questa razionalità governamentale, che si diffonde su un insieme di situazioni caratterizzate dal medesimo trittico: extraterritorialità, relegazione ed eccezione».

Anche Marc Bernadot considera che i campi di stranieri da lui studiati possano definirsi come «l’insieme delle situazioni di emarginazione di una minoranza attraverso l’attribuzione autoritaria di una residenza o di un domicilio». Se Agier ha effettuato studi etnografici nei campi di rifugiati contemporanei, principalmente in Africa, Bernadot propone una socio-storia dei “campi di stranieri” in Francia.

(…) I campi di rifugiati sono in genere ordinati secondo un’organizzazione spaziale inizialmente pianificata dalle autorità dei campi. Si tratta quindi di una prima pratica di pianificazione. Tuttavia, contrariamente alla maggioranza degli spazi di alloggio costruiti in un mondo oggi largamente sedentario, non è previsto che il campo si sviluppi “per durare”; non più di qualche mese o qualche anno. Dopo la fase originale di organizzazione dello spazio, è raro sentir parlare di progetti successivi di pianificazione dei campi, i quali non sono programmati per esistere sul lungo periodo.

La produzione di una differenza con il resto del territorio è ciò che domina le razionalità di gestione e di organizzazione spaziale di questi spazi. Questa razionalità è guidata dalla necessità di mantenere un carattere provvisorio a livello dell’esistenza stessa di queste forme spaziali. Altri obiettivi, come l’instaurazione di meccanismi d’esclusione o d’inclusione mediante lo spazio, possono ugualmente esistere in questa logica di differenziazione.

(…)

 

 

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