COO.BRA
Coordinamento Bracciantile saluzzese
SALUZZO. REPORT SERATA DI AUTOFORMAZIONE SULLE LOTTE DI BRACCIANTI, FACCHINI E PICCOLI CONTADINI
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24 giugno verzuolo

di Andrea Silvestro

Racconti di lotte, proposte anti-sfruttamento e una serie informazioni utili ai migranti. Martedì 24 giugno, nei locali di via San Bernardo 3, a Verzuolo, si è tenuto il primo di una serie d’incontri organizzati dal Coordinamento Bracciantile Saluzzese in vista dell’imminente stagione di lotta.

Cospicua la partecipazione, in particolare quella dei migranti, accampati già da diversi giorni a Saluzzo in attesa di essere impiegati nelle aziende agricole della zona. Essi, durante la serata, hanno potuto assistere ai diversi interventi, resi accessibili da una puntuale traduzione in lingua francese.

“Con questi incontri – esordisce Matteo Raspo (CUB Cuneo) – intendiamo rivendicare qualcosa d’importante. Nel saluzzese, area notoriamente ricca, lo sfruttamento è dietro l’angolo e diventa quindi fondamentale fare in modo di prevenire la speculazione sui braccianti.”

Partendo da questa premessa, si sono succeduti diversi interventi. Il primo dei quali è stato dispensato da Fabrizio Garbarino (Coordinamento Europeo via Campesina): “i supermercati sono il nemico comune di piccoli contadini e braccianti stagionali. Solo in Piemonte, negli ultimi dieci anni, il 37% delle piccole aziende agricole ha cessato la propria attività facendo spazio alla grande distribuzione. E, – continua Garbarino – i pochi rimasti, sono stati intaccati dalla cultura della competizione e hanno anch’essi iniziato a sfruttare. I nostri obiettivi a livello europeo sono due normative che viaggiano su binari paralleli: una legge che vincoli gli imprenditori agricoli a rispettare la natura e un’altra che fissi dei paletti precisi sui diritti sociali dei braccianti. A livello locale, invece, intendiamo istruire il consumatore creando dei sistemi di controllo autonomo giacché quelli di Stato non funzionano. Oggi l’attenzione è circoscritta al mito dell’agricoltura biologica, ma occorrerebbe informarsi anche su altro. Come associazione miriamo a creare una forte alleanza tra contadini sani e consumatori consapevoli, per rompere questo corporativismo che soffoca chi vorrebbe denunciare delle situazioni di sfruttamento e spesso si trova completamente isolato. Attualmente, vi sono sempre meno imprenditori agricoli che speculano su un numero in rapida crescita di contadini e braccianti. Basta pensare a quanto accaduto in Romania dove molte aziende agricole sono state acquistate da gruppi italiani e francesi buttando fuori i piccoli contadini locali. Riteniamo quindi che, per denunciare queste situazioni, sia necessario un continuo scambio d’informazioni”.

Dopodiché ha preso la parola Francesco Latorraca (Si Cobas) il quale ha raccontato le dinamiche della recente rivolta dei facchini ai mercati generali di Torino. Il quadro è lo stesso degli altri piazzali della logistica del nord Italia, teatro di lotte grandi e durissime che hanno messo in difficoltà un sistema feroce di sfruttamento. Il CAAT, Centro AgroAlimentare di Torino, è il posto dove arrivano i camion con la frutta e la verdura destinate ai 54 mercati rionali torinesi. Si lavora di notte: i Tir vengono scaricati nei magazzini, dove i vari padroncini prendono le merci. I facchini lavorano all’interno di un intrico normativo, dove il confine tra legale ed illegale, tra cooperative e mafia è del tutto impalpabile.Si lavora per pochi euro, con orari massacranti, senza garanzie, senza rispetto dei pur esili paletti imposti dai contratti. Chi si ribella ai soprusi è sottoposto a continui ricatti, perché i caporali non perdonano chi alza la testa.Cinque facchini che hanno deciso di non abbassarla sono stati licenziati.Questa la scintilla che ha incendiato il piazzale di strada del Pontone.Nella notte tra giovedì e venerdì 23 maggio è partito uno sciopero con blocco dei cancelli.
“ Fino a un mese fa – ricorda Latorraca – ci trattavano come animali, nessuno credeva nella possibilità di una rivoluzione di tale entità. Oggi i padroni ci salutano, l’orario di lavoro è stato ridotto ad otto ore e i pagamenti sono puntuali. Non basta parlare di diritti, ma occorre colpire il profitto se si vuole realmente cambiare concretamente qualcosa. Prima eravamo invisibili, ora abbiamo i riflettori puntati addosso. Anche un assessore si è fatto vivo, ma noi ci siamo rifiutati di ascoltarlo. Se non ci daranno quel che vogliamo, sciopereremo ad oltranza. L’idea attuale – conclude Latorraca – è quella di creare una sorta di contrattazione bracciantile sperando che anche a Saluzzo si arrivi a un trattamento adeguato.”

Infine Antonio Olivieri (Presidio Permanente Castelnuovo Scrivia) ha descritto in modo analitico il “presidio dei 74 giorni”, una vicenda che ha fatto parlare di una “Rosarno in Piemonte”: “La Bassa Valle Scrivia – puntualizza Olivieri – ha un bacino di 20mila abitanti ed è formata da 8 comuni. In quest’area vi sono 1000-1200 braccianti. La prima idea che abbiamo avuto nei confronti di essi è stata quella di creare delle scuole per conoscerci; ci siamo fatti dare dei contributi dai comuni ed è un progetto che portiamo avanti da dieci anni. Inoltre abbiamo istituito due sportelli legali per i migranti (uno a Castelnuovo e uno ad Alessandria) e, sbrigando allo stesso tempo tutta una serie di pratiche piccole per noi, ma spesso complesse per i braccianti, abbiamo acquistato la loro fiducia. In un’azienda agricola in particolare (la “Lazzaro” di Castelnuovo Scrivia) i braccianti non percepivamo mai più di 5 € l’ora, erano spesso vittime di razzismo (chiamati con nomignoli dispregiativi dai padroni), non avevano alcun tipo di tutela sociale e nemmeno l’acqua veniva loro offerta ma, spesso, erano costretti a dissetarsi bevendo quella dei canali d’irrigazione. Inoltre erano quotidianamente ricattati: i padroni – forti di un sistema complice che manteneva tutto sotto copertura – chiedevano addirittura di essere pagati per rinnovare i permessi di soggiorno. In questa azienda vi lavoravano 40 braccianti marocchini (uomini e donne) 7 giorni su 7 per 13-14 ore al dì. Inizialmente venivano pagati 5 € l’ora, successivamente 4 € e poi ancora meno… Un venerdì, alle 6.00 del mattino, inizia la rivolta. Per la prima volta nella loro vita, questi braccianti incrociano le braccia, pronunciano la parola “sciopero”. Da soli. Poi chiamano noi. E diventano immediatamente visibili a tutti. Allestiscono un presidio di tende e frasche nei pressi della cascina, viene istituita una Cassa di resistenza per tirare avanti, chiedono l’aiuto alla Cgil, ad associazioni, partiti, cooperative sociali. Serve tutto: cibo, vestiario, aiuti. Sono anche giorni di forte tensione, tra picchetti, invasione dei campi per bloccare i crumiri, blocchi stradali e delle merci, denunce. Nasce il Presidio permanente, realtà auto organizzata, composta da lavoratori e solidali, scaturita dalla lotta dei braccianti marocchini dell’azienda agricola “Bruno Lazzaro”, che continuerà anche dopo i 74 giorni del presidio sulla strada, dando vita anche ad uno sportello legale. Un primo accordo sindacale tra la Cgil e la Cia (Confederazione Italiana Agricoltori: quella di “sinistra”, che rappresentava l’azienda “Bruno Lazzaro”) viene stracciato dal padrone, quando, da Brescia, fa arrivare una cooperativa di raccoglitori indiani, la Work Service, fatta di presunti cottimisti che si alzano alle quattro del mattino per essere nelle campagne castelnovesi alle prime luci dell’alba e i primi quattordici lavoratori marocchini vengono messi alla porta. Licenziamento verbale. Motivazione ufficiale: scadenza del contratto. Ma il contratto non esiste, quello prodotto dal padrone all’Ispettorato del Lavoro reca firme false, come pure le buste paga dell’anno in corso. Cresce rabbia e tensione. In mezzo ai campi di pomodori, in quei giorni, qualcuno avrebbe voluto lo scontro tra disperati – marocchini contro indiani – senza però riuscirci. Non siamo caduti nel tranello della guerra etica, ma abbiamo rafforzato la nostra lotta attraverso gli scioperi, i blocchi, le manifestazioni. Una in particolare, come non si vedeva da anni per entusiasmo e partecipazione, ha attraversato la città di Alessandria, con in testa i braccianti della Lazzaro, dietro lo striscione “No sfruttamento, no schiavismo”. Dopo un primo sit-in davanti alla Prefettura, il corteo ha raggiunto la sede della Cia. “Schiavi mai”, “Giustizia, giustizia”, “Lazzaro vergogna, Cia vergogna”, gli slogan più gridati durante il percorso e nel secondo sit-in. Parte una campagna di boicottaggio contro i supermercati Bennet, tra i principali clienti dei Lazzaro. Grande scandalo, i pennivendoli del padrone si stracciano le vesti, i più moderati sostengono che la campagna danneggia gli stessi braccianti marocchini. Niente di più sbagliato: Lazzaro ha già deciso, nei suoi campi lavorano solo gli indiani della Work Service, che da dodici erano ormai diventati una trentina. Manifestazioni, tavoli in Prefettura, ispezioni della Direzione provinciale del Lavoro e, infine, un’inchiesta della Procura della Repubblica di Torino che, come primo atto, ha riconosciuto il permesso di soggiorno ai lavoratori marocchini irregolari a seguito della denuncia per riduzione in schiavitù, non hanno fatto desistere la proprietà, che alza nuovamente il tiro, con l’obiettivo di disfarsi dei restanti lavoratori marocchini. In seguito compare un cartello incollato con nastro adesivo su un palo della luce, sulla strada, davanti al presidio dei lavoratori: “i marocchini dipendenti dell’azienda agricola Lazzaro Bruno e Lazzaro Mauro cessano l’attività presso la suddetta azienda e non lavorano più”. Licenziamenti, con un tocco di discriminazione razziale: il massimo!
Abbiamo istituito una cassa di resistenza per sostenere questa lotta che ha comportato denunce per noi e per i lavoratori. Molti di quest’ultimi, inoltre, sono stati licenziati e ben presto hanno iniziato a fioccare sfratti che per ora siamo riusciti a bloccare. Una lotta simile si può fare anche a Saluzzo: in fondo cos’avete da perdere?”

Dopo gli interventi, Cecilia Rubiolo (Coordinamento Bracciantile Saluzzese) ha risposto ad alcune domande poste da numerosi migranti interessati e incuriositi dalle varie relazioni. Per molti di essi si tratta della prima stagione a Saluzzo e non sanno nemmeno mezza parola d’italiano oltre che di normative in merito a contratti lavorativi e diritti sociali. Questa serata è solo il primo passo per non lasciarli soli cercando allo stesso tempo di prevenire, per ora con l’informazione, i casi di sfruttamento.

28 giugno 2014

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